CONFUTAZIONE DELLA CONGIURA

Karl Marx - Friedrich Engels, Emma Cantimori Mezzomonti . 1848/1948
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 8 maggio 2014
IL PROBLEMA CON HARRY
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congiure e cospirazioni
il manifesto in Europa, oggi
«E’ nota l'inclinazione dei popoli latini alle cospirazioni, e la parte ch'esse hanno avuto nella storia moderna spagnola, italiana e francese. Dopo la sconfitta dei cospiratori spagnuoli ed italiani nel 1820-21, Lione e specialmente Parigi divennero i centri dei collegamenti rivoluzionari. E’ noto come fino al 1830 i borghesi liberali fossero a capo delle cospirazioni contro la restaurazione. Dopo la rivoluzione di Luglio la borghesia repubblicana prese il loro posto; il proletariato, già educato a cospirare sotto la restaurazione, venne in primo piano nella stessa misura che i borghesi repubblicani erano respinti e si scoraggiavano di cospirare a causa delle inutili battaglie per le strade. La Società delle Stagioni, con la quale il Barbes e il Blanqui compirono la sommossa del 1839, era gia esclusivamente proletaria, e parimente quella delle Nuove Stagioni fondata dopo la sconfitta, che ebbe a capo Albert, e alla quale parteciparono lo Chenu, il De la Hodde, il Caussidiere, ecc. Questa cospirazione, per l'intermediario dei propri capi, stette in continuo collegamento con gli elementi piccolo-borghesi rappresentati nella "Reforme", ma tuttavia si mantenne sempre molto indipendente. Naturalmente queste cospirazioni non abbracciarono mai la gran massa del proletariato parigino. Si limitarono ad un numero relativamente piccolo di membri, sempre oscillante, composto in parte di vecchi cospiratori permanenti, regolarmente trasmessi da ogni società segreta alla propria erede, in parte di lavoratori reclutati di recente.
«Fra tutti quei vecchi cospiratori lo Chenu dipinge quasi esclusivamente la classe alla quale egli stesso appartiene: quella dei cospiratori di professione. Con lo sviluppo delle cospirazioni proletarie si fece sentire il bisogno della divisione del lavoro: i membri si divisero in cospiratori occasionali, conspirateurs d'occasion, cioé lavoratori che facevano i cospiratori solo in aggiunta alle altre loro occupazioni, frequentavano solo le riunioni e si tenevano pronti a presentarsi su ordine del capo nei luoghi di raccolta; e in cospiratori di professione, che dedicavano alla cospirazione tutta la loro attività e ne vivevano. Essi formavano lo strato intermedio fra i lavoratori ed i capi, e spesso s'infiltravano addirittura fra questi ultimi.
«La posizione sociale di questa classe ne condiziona già da principio tutto il carattere. La cospirazione proletaria offre loro, naturalmente, solo mezzi di sussistenza assai limitati e incerti. Quindi sono continuamente costretti ad assalire le casse della cospirazione. Molti di loro vengono anche a collisioni dirette con la società borghese in generale, e figurano con maggior o minor dignità davanti ai tribunali della polizia correzionale. La loro esistenza oscillante, dipendente nelle singole cose più dal caso che dalla loro attività, la loro vita senza regola, le cui uniche sedi fisse sono le osterie dei vinai - le case d'appuntamento dei cospiratori -, le loro inevitabili conoscenze con ogni specie di persone equivoche, li situa in quell'ambiente di vita, che a Parigi si chiama la bohême.
Questi bohémiens democratici di origine proletaria - c'e anche una bohême democratica d'origine borghese, i fannulloni e piliers d'estaminet democratici - sono dunque i lavoratori che hanno smesso il loro lavoro e perciò sono diventati dissoluti, o gente che proviene dal sottoproletariato e trasferisce nella sua nuova esistenza tutte le abitudini dissolute di questa classe. In tali circostanze si comprende come un paio di repris de justice si trovi implicate quasi in ogni processo per cospirazione.
«Tutta quanta la vita di questi cospiratori di professione porta l'espresso carattere della bohême. Sottufficiali arruolatori della cospirazione, passano di osteria in osteria, tastano il polso ai lavoratori, si scelgono i loro uomini, li attirano nella congiura a forza di blandizie, e lascian sopportare le spese dell'inevitabile consumo di litri o alla cassa della società o al nuovo amico. Il vinaio è in tutto il vero e proprio albergatore del cospiratore. Da lui egli si trattiene per lo più; qui ha gli appuntamenti coi suoi colleghi, con gli uomini della sua sezione, con i candidati all'associazione; qui infine han luogo gli incontri segreti delle sezioni e dei capi sezione (gruppi). Il cospiratore, che è già per conto suo, come tutti i proletari parigini, di natura molto allegra, fa presto a diventare, in questa ininterrotta vita d'osteria, il più completo libertino. Il capo cospiratore, che nelle sedute segrete mostra una spartana severità di costumi, si dissolve all'improvviso e si trasforma in un cliente fisso, conosciuto dappertutto, che sa benissimo gustare il vino e le donne.
Quest'umore da osteria viene accentuato anche dai continui pericoli ai quali il cospiratore è esposto; ad ogni momento egli può esser chiamato sulla barricata e morirvi, ad ogni passo la polizia gli tende tranelli che lo possono condurre in prigione o addirittura all'ergastolo. Proprio questi pericoli danno sapore al mestiere; quanto maggiore l'incertezza, tanto più il cospiratore s'affretta ad afferrare il piacere della vita. Allo stesso tempo l'abitudine del pericolo lo rende estremamente indifferente alla vita e alla libertà. In prigione sta come a casa sua, come dal vinaio. S'aspetta ogni giorno il via per la battaglia. La disperata temerarietà che si manifesta in ogni insurrezione parigina è proprio manifestata da questi vecchi cospiratori di professione, gli hommes des coups de main. Loro alzano le prime barricate e ne prendono il comando, loro organizzano la resistenza, il saccheggio del negozi d'armaiolo, loro capeggiano la requisizione delle armi e delle munizioni dalle case, e nel momento culminante dell'insurrezione compiono quegli audaci colpi di mano che gettano tanto spesso nella confusione la parte governativa. In una parola, essi sono gli ufficiali dell'insurrezione.
« Si capisce che questi cospiratori non si limitano ad organizzare in genere il proletariato rivoluzionario. La loro occupazione consiste proprio nel precorrere il processo dello sviluppo rivoluzionario, nello spingerlo ad arte alla crisi, nel fare una rivoluzione su due piedi, senza le condizioni d'una rivoluzione. Per essi, l'unica condizione della rivoluzione è che la loro cospirazione sia sufficientemente organizzata. Sono gli alchimisti della rivoluzione, e condividono completamente con gli antichi alchimisti la confusione d'idee e il gretto attaccamento a idee fisse. Si buttano a far scoperte che debbono compiere miracoli rivoluzionari: bombe incendiarie, macchine di distruzione di efficacia magica, sommosse che debbono operare tanto più miracolosamente e di sorpresa, quanto meno razionale ne è la ragione. Indaffarati in tale continuo progettare, essi non hanno altro scopo che quello prossimo del rovesciamento del governo esistente, e disprezzano profondissimamente la attività, di carattere più teorico, consistente nel chiarire ai lavoratori i loro interessi di classe. Quindi il loro dispetto più plebeo che proletario per gli habits noirs, per la gente più o meno colta, che rappresentano questo aspetto del movimento, dai quali però essi non possono mai rendersi del tutto indipendenti, perché sono i rappresentanti ufficiali del partito. Gli habits noirs debbono ogni tanto servir loro anche come fonte di denaro. Si capisce, del resto, che i cospiratori debbono seguire di buona o mala voglia lo sviluppo del partito rivoluzionario.
«Il tratto principale del carattere dei cospiratori è la loro lotta con la polizia, con la quale essi hanno proprio lo stesso rapporto dei ladri e delle prostitute. La polizia tollera le cospirazioni e, certo, non soltanto come male necessario. Le tollera come centri di facile sorveglianza, nei quali s'incontrano gli elementi rivoluzionari più violenti della società, come officine della sommossa, - la quale in Francia è diventata un mezzo di governo necessario tanto quanto la polizia stessa, - e infine come luogo di reclutamento per le proprie spie politiche. Proprio come i più capaci accalappia-mariuoli, i Vidocq e consorti, vengono presi dalla classe dei bricconi dell'alto e del basso, dei ladri, degli scrocconi e dei bancarottieri fraudolenti e spesso tornano a ricadere nel loro primitivo mestiere, allo stesso modo la bassa polizia politica viene reclutata fra i cospiratori di professione. I cospiratori mantengono un incessante contatto con la polizia, e vengono ad ogni istante a collisione con essa, danno la caccia agli spioni come gli spioni danno la caccia a loro. Lo spionaggio è una delle loro occupazioni principali. Nessuna meraviglia, dunque, che si faccia tanto spesso il piccolo salto dal cospiratore di mestiere alla spia di polizia pagata, salto aiutato dalla miseria e dalla prigione, da minacce e promesse. Di qui nelle cospirazioni l'infinito sistema di sospetti che acceca completamente i loro membri, e fa loro riconoscere nei loro uomini migliori delle spie, e nelle vere spie gli uomini degni di maggior fiducia. Si capisce che queste spie arruolate fra i cospiratori si mettano con la polizia, per lo più credendo in buona fede di poterla ingannare, che riesca loro per un cerco tempo di far il doppio giuoco, finché soggiacciono sempre più alle logiche conseguenze di quel primo passo, e che spesso la polizia venga realmente ingannata da loro. Del resto, che un tale cospiratore cada nei lacci della polizia, dipende da circostanze puramente casuali e da una differenza più quantitativa che qualitativa di saldezza di carattere.
« Questi sono i cospiratori che lo Chenu ci presenta spesso con grande vivacità e il cui carattere egli ci dipinge ora con intenzione, ora senza volerlo. Del resto egli stesso è il ritratto più somigliante d'un cospiratore di mestiere, fino ai suoi non del tutto chiari legami con la polizia del Delessert e del Marrast.
«Alla stessa stregua che il proletariato di Parigi avanzava direttamente in primo piano come partito, questi cospiratori perdettero di influenza direttiva, vennero dispersi, trovarono una concorrenza pericolosa nelle società segrete proletarie, che avevano come scopo non l’insurrezione immediata ma l'organizzazione e l'evoluzione del proletariato. Già l'insurrezione del 1839 ebbe carattere decisamente proletario e comunistico. Ma dopo di essa si verificarono le scissioni derivate dal bisogno dei lavoratori d'intendersi sui loro interessi di classe, e che si manifestarono parte nelle vecchie cospirazioni, parte in nuovi collegamenti propagandistici. L'agitazione comunistica, potentemente iniziata dal Cabet subito dopo il 1839, le questioni che sorsero entro il partito comunista, presto sopraffecero i cospiratori. Tanto Chenu che De la Hodde ammettono che i comunisti sono stati la frazione del proletariato di gran lunga più forte, al tempo della rivoluzione di Febbraio. I cospiratori, per non perdere la loro influenza sugli operai e con essa l'equilibrio nei confronti degli habits noirs, dovettero seguire questo movimento e adottare idee socialiste o comuniste. Così sorse già prima della rivoluzione di Febbraio il contrasto fra le cospirazioni operaie, rappresentate dall'Albert, e la gente della "Reforme"; lo stesso contrasto che poco dopo si riproduce nel governo provvisorio. Del resto non ci passa neppure per la mente di scambiare l'Albert con questi cospiratori. Da entrambi gli scritti risulta che l'Albert seppe affermare e mantenersi una posizione personalmente indipendente su questi suoi strumenti e non appartiene alla classe di persone che esercitano la cospirazione come un modo di nutrirsi.
«Le bombe del 1847, affare nel quale la polizia agì direttamente più che in tutti i precedenti, dispersero finalmente i più ostinati e assurdi vecchi cospiratori e gettarono le sezioni che vi erano state fino ad allora, nel movimento proletario diretto »

Karl Marx, Aus dem literarischen Nachlass van Kart Marx, Friedrich Engels und Ferdinand Lassalle, ed. F. Mehring, Stuttgart 1902, vol. Ill, pp. 426 sgg. (riportato nell'introduzione di E. Cantimori nell'edizione del Manifesto cit. pgg. 22-27)

Uno spettro s'aggira per l'Europa - lo spettro del comunismo.
Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi.
Quale partito d'opposizione non è stato tacciato di comunismo dai suoi avversari governativi; qual partito d'opposizione non ha rilanciato l'infamante accusa di comunismo tanto sugli uomini più progrediti dell'opposizione stessa, quanto sui propri avversari reazionari?
Da questo fatto scaturiscono due specie di conclusioni.
Il comunismo è di già riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee.
E’ ormai tempo che i comunisti espongano apertamente in faccia a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito stesso.
A questo scopo si sono riuniti a Londra comunisti delle nazionalità più diverse e hanno redatto il seguente manifesto che viene pubblicato in inglese, francese, tedesco, italiano, fiammingo e danese.

[In Europa, oggi, nel 1847, nel 1848, c'e una nuova Santa Alleanza: una riunione di tutte le potenze della vecchia Europa in una caccia, santa battuta di caccia come Santa Alleanza, contro uno spauracchio mostruoso, lo spettro del comunismo. Papa Pio IX aveva condannato nella enciclica Qui pluribus del 1846 « quella nefasta dottrina del cosiddetto comunismo, sommamente contraria allo stesso diritto naturale, la quale, una volta ammessa, porterebbe al radicale sovvertimento dei diritti, delle cose, della proprietà di tutti e della stessa società umana»; non sappiamo se Marx ed Engels avessero avuto notizia di questa enciclica. Truppe russe, austriache e prussiane avevano represso nel 1846 l'insurrezione di Cracovia, per il cui programma di ardito rinnovamento sociale s'era parlato in Europa, a torto, di «comunismo», seguendo la conclusione dei proclami delle tre potenze. Marx, commemorando nel 1848 l'insurrezione di Cracovia, osservava: «II comunismo nega la necessità dell'esistenza delle classi; vuole abolire ogni classe, ogni distinzione di classe. I rivoluzionari di Cracovia hanno voluto cancellare nelle classi soltanto le distinzioni politiche; volevano dare diritti eguali alle differenti classi» (G. A., I, vi, p. 410). Nello stesso discorso Marx continua: « Se si dicesse ai proprietari francesi: "Sapete che cosa vogliono i democratici polacchi? Vogliono introdurre in casa loro la forma di proprietà che esiste già da voi", i proprietari risponderebbero: "Fanno benissimo". Ma dite, come fa il Guizot, ai proprietari francesi: "I Polacchi vogliono abolire la proprietà come voi l'avete istituita con la rivoluzione del 1789, e come esiste ancora presso di voi", allora essi grideranno: "Come! Sono dunque rivoluzionari, comunisti! Bisogna schiacciare quegli infami!" L'abolizione delle giurande, delle corporazioni, l'introduzione della libera concorrenza, si chiama comunismo, oggi, in Isvezia. Il "Journal des Debats" fa di meglio: abolire la rendita che costituisce il diritto di corruzione per duecentomila elettori è abolire una fonte del reddito, è distruggere una proprietà acquisita, è esser comunista...» (ibid.). Qui, il 22 febbraio, Marx sembra commentare il Manifesto che aveva terminato poco prima: va ricordato che il «Journal des Debats» era il giornale del Guizot; e che la rendita della quale qui si parla è la rendita che si doveva possedere in Francia sotto Luigi Filippo per avere il diritto di eleggere, per essere «cittadini attivi»: è un accenno alla opposizione del «Journal des Debats» al movimento per la riforma elettorale, che avrebbe condotto alla rivoluzione del 24 febbraio 1848. Quanto all'opinione dei radicali francesi (il partito repubblicano o democratico radicale) si veda il capitolo Républicains et communistes, nella Histoire du Parti Républicain en France di G. Weill, Paris 1928, pp. 109-37, specialmente pp. 125 sgg. L'Andler (pp. 60-61) ricorda dichiarazioni del Ledru-Rollin, l'amico di Giuseppe Mazzini, contro i comunisti, e dichiarazioni analoghe del repubblicano moderato Armand Marrast.
Proprio a proposito della « questione italiana » il Guizot, durante le discussioni alle due Camere francesi del gennaio 1848, aveva fatto balenare, in riferimento alla politica del Metternich, sotto la «questione nazionale» la « questione sociale ». Si veda la protesta del Cavour, Scritti politici, pp. 22-23.
Si vedano anche le pagine del Mazzini nel capitolo VII dei Pensieri sulla democrazia in Europa (più noti col titolo di: I sistemi e la democrazia, della edizione Daelli), Ed. Naz., XXXIV, pp. 92-246; ne citiamo alcuni passi più sotto (p. 128).
I poliziotti tedeschi avevano impedito la diffusione in Germania dei «Deutsch-franzosische Jahrbiicher», facevano sorvegliare Marx a Bruxelles dal giornalista avventuriero von Bornstedt, del che Marx per lo meno sospettava. Marx ignorava che la «Rheinische Zeitung» era stata proibita per intervento della diplomazia dello zar.
L. Stein, nella seconda edizione, pubblicata nel 1848, della sua nota opera, che citiamo più avanti, osserva: «Nessun fenomeno dei tempi più recenti è tanto temuto e allo stesso tempo così poco conosciuto come questo» e invita a intendere e a conoscere studiandolo, il comunismo, invece di parlarne genericamente. Benché indichi nella sua bibliografia la Miseria della filosofia di Marx e il libro di Engels sulla classe operaia inglese, lo Stein, del resto, considera il comunismo come prosecuzione dell’egualitarismo livellatore (pp. 439-40).
La serie di creatori dello spettro del Comunismo, raggruppati in coppie antitetiche - il papa e lo zar ortodosso; Metternich simbolo della reazione e della politica austriaca di egemonia in contrasto con la Francia; Guizot simbolo del liberalesimo costituzionale e della politica estera francese antagonistica a quella degli Asburgo - termina con l'accoppiamento più ironico, che già avvia alla considerazione seguente. Non solo i governanti accusano di comunismo gli «oppositori», quelli che il De Sanctis chiama «rivoluzionari», per metterli con le spalle al muro, ma anche gli «oppositori» fra loro, usano dello stesso antico espediente, e respingono l'accusa addirittura sui reazionari. Con questo accenno, Marx allude probabilmente alle accuse dei liberali europei contro la politica demagogica del governo austriaco, proprio dopo quella insurrezione polacca che aveva fatto della rivoluzione politica e nazionale polacca, assieme a quella italiana, quasi il simbolo della imminente rivoluzione europea, la quale attraverso le rivoluzioni nazionali avrebbe dovuto abbattere il nido della reazione, la Vienna del Metternich. Il governo austriaco aveva spinto i contadini contro i grandi proprietari fondiari, e contro la città, favorendone il secolare desiderio di terra e di vendetta, con un atto che lasciò dietro di sé lunga scia di timori.
Da tutto questo si può constatare un fatto, che va al di la dello spauracchio e dello spettro agitato nelle polemiche politiche e nell'azione repressiva dei governi: le potenze europee riconoscono la potenza del comunismo, lo riconoscono come potenza. Portato sul piano politico, è il rovesciamento che aveva fatto del nome di sprezzo dei gueux, nella rivoluzione dei Paesi Bassi, nome di gloria e insegna di battaglia, e così già prima del nome di Bundschuh nella guerra dei contadini in Germania, e in altri casi. Ma Marx non indugia in rievocazioni storiche, trae la conseguenza: tanto per sfatare la favola del comunismo barbarico e distruttore dell'ordine sociale, quanto per eliminare le possibilità di tali deformazioni derivate dal permanere del movimento nel segreto delle cospirazioni e delle congiure, occorre il manifesto del partito comunista, come partito politico: manifesto, cioè dichiarazione di principi, dei principi in nome dei quali si combatte. Alla fine di questo primo capitolo di introduzione, il comunismo deformabile in ispettro e in spauracchio, è scomparso: c'e il partito comunista, organizzazione concreta, ci sono degli uomini, i comunisti]

Emma Cantimori Mezzomonti, commento al primo paragrafo del Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels, Giulio Einaudi editore, Torino 1948, pgg. 59-62.

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